La forza dello sciopero del 27 ottobre deve essere tracciata nel superamento della logica della rassegnazione. Sono decenni ormai che i lavoratori sono in preda ad un sonoro e dolorosissimo non c’è niente da fare e accettano ammutoliti la trasformazione del mercato del lavoro. Da una parte, aumentano gli articoli di giornaletti di governo intrisi di consigli su come vivere felici, app da scaricare per una vita più serena e profonda, come se bastasse questo per stare bene. Dall’altra parte, bisogna fare almeno due lavori per vivere, rinunciare al tempo libero per rincorrere qualche ora di straordinario in più, e limitarsi a scrollare tutto quello che si vuole essere, avere o diventare. Politica dall’alto, media di larga diffusione, produzioni musicali, pubblicità ci costringono in un individualismo senza passato, dove solidarietà, militanza e attivismo sono parole vuote e in disaccordo con il stevejobbismo. In questo contesto, i sindacati confederali sfoderano le loro connessioni e potere, siglando accordi che rendono solida realtà i tanti non c’è niente da fare, felici di prendere parte a processi di sfruttamento, esclusione, violenza, depressione e rassegnazione.
La pratica dello sciopero e la presenza di lavoratrici, lavoratori, bambini, bambine, militanti, occupanti, studentesse e studenti per le strade di Bologna, come anche Milano, Roma, Napoli e Prato ci ricordano, invece, la voglia di non sottomettersi alla paura. Lo sciopero del 27 ottobre rappresenta la voglia di rompere le catene della ineluttabilità, andando oltre le bugie e lo sfruttamento attuato da quella politica che fa di questa rassegnazione il suo potere.
Il pigro ragionare per schemi precostituiti e pregiudizi qui certamente non aiuta. La grinta delle persone che hanno costruito e partecipato a questo sciopero difficilmente possono stare dentro qualcosa di già visto. E non c’è soltanto sentimento e passione. C’è anche una storia di lotta che in passato e nel futuro è orientata a superare dinamiche di sfruttamento ed esclusione. La sottoscrizione di accordi che hanno portato a miglioramenti reali (vedi Sicobas, 18 ottobre, 2017) è un esempio concreto di questa storia. Ma lo sciopero del 27 non è soltanto questo. Basta passeggiare con queste migliaia di persone per sentire che c’è voglia di vivere ed agire sul proprio presente. A situazioni difficili nei luoghi di lavoro, si accompagnano i consigli e il supporto di altri paesani, amici e militanti. Così, anche quando la lotta sembra impossibile, nascono progetti di vita alternativi che vogliono superare la forma salariale del lavoro e si instaurano connessioni e legami che rafforzano percorsi di vita che possiamo, invece, abbracciare.